Occorre ridurre i fabbisogni estivi e le colture più idroesigenti, a partire dal mais. La falda, grande trascurata: le acque invernali in canali e marcite e quelle primaverili di prati e risaie sono una risorsa da non sottovalutare
In occasione dell’equinozio di primavera, che anticipa la prossima stagione irrigua, Legambiente Lombardia ha analizzato la situazione delle scorte idriche da cui dipende il rifornimento di canali e campi coltivati della regione, utilizzando i dati di ARPA e dei gestori dei laghi lombardi. La situazione del 2023 non è diversa, anzi semmai peggiore, di quella di un anno fa: la neve in montagna è meno di un terzo di quella attesa, ed in quantità perfino inferiore a quella presente 12 mesi fa. Anche per gli invasi idroelettrici la situazione non è affatto rosea, mentre tra i grandi laghi si fa notare il Garda che, a differenza dello scorso anno, non dispone di volumi di riserva ed il suo livello è anzi al minimo storico ormai da mesi. A peggiorare i pronostici, c’è la situazione dei ghiacciai che hanno subito un duro colpo nell’estate scorsa: in prospettiva, occorrerà fare i conti anche con la riduzione degli apporti di acque estive di fusione glaciale.
«Il cambiamento climatico ha allungato di un mese la durata della stagione estiva – commenta Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia – tra anticipo del disgelo, aumento dell’evaporazione per il caldo e riduzione delle masse glaciali, la siccità ci costringe a rivedere gli ordinamenti agricoli regionali: è sempre più evidente la difficoltà ad irrigare le colture estive, il mais in particolare, mentre dovremmo rivalutare, per l’alimentazione del bestiame, colture alternative, a partire da quelle di erbai, prati stabili e marcite, irrigate nella stagione fredda e in primavera».
Le premesse, dunque, ci sono tutte per una nuova stagione agraria in cui fare i conti con la scarsità idrica: nel 2022 le piogge cadute sono state il 36% in meno della media, un ‘buco’ d’acqua che per la Lombardia vale ben 10 miliardi di metri cubi, ma anche nei primi due mesi del 2023 il bilancio è negativo, sono venuti a mancare altri 2 miliardi di metri cubi di acqua sotto forma di pioggia e di neve. Un dato che si riflette nelle scorte idriche, che sono ai minimi della storia delle misurazioni di ARPA, su valori perfino minori rispetto alla situazione fotografata un anno fa: in tutto, considerando sia la copertura nevosa che le acque di invasi idroelettrici e grandi regolazioni lacustri, abbiamo 1,4 miliardi di mc di acqua ‘accantonata’ nella fascia alpina e prealpina, 2,2 miliardi in meno rispetto al volume medio misurato in questo periodo dell’anno. Unica nota di timida speranza è quella relativa alla situazione del Lago Maggiore, che può fare affidamento su una scorta idrica maggiore rispetto a quella dell’anno scorso, che dovrebbe consentire di allagare gran parte delle risaie alimentate dalle acque prelevate dall’emissario. Ma il prosieguo della stagione resterà incerto, alla luce della carenza di scorte nella vasta porzione montana del bacino.
«Gli effetti di questa nuova annata di siccità, sull’agricoltura e sugli ecosistemi fluviali, possono essere fortemente attenuati solo attuando misure di adattamento climatico, che riducano i fabbisogni estivi e favoriscano la ritenzione di acque, nei bacini e nei suoli agricoli, in tutte le altre stagioni – prosegue Di Simine – la pianura lombarda deve poter funzionare come una spugna, in grado di assorbire grandi quantità di acqua e di rilasciarle all’occorrenza. Ma per questo dobbiamo smettere di cementificare il territorio e tornare ad occuparci delle acque sotterranee, che non si vedono ma da cui dipendiamo per la gran parte dei nostri bisogni».
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L’associazione ambientalista paventa il rischio che, anziché perseguire l’adattamento al nuovo contesto climatico, si inseguano modelli finalizzati a mantenere quelle colture che promettono di aumentare la produttività, ma a costo di aumentare la vulnerabilità della falda acquifera, in termini sia di quantità che di qualità. La falda, infatti, è la più grande tra le scorte idriche di cui beneficia la nostra regione, e da essa dipendono anche gli usi civili e industriali delle acque. Ma deve continuare ad essere alimentata per poter garantire i propri indispensabili servizi. Purtroppo, quello della falda acquifera è un argomento che fatica a trovare lo spazio che merita, quando si parla di scorte idriche quasi mai tra queste si considera l’acquifero sotterraneo, su cui non vengono forniti dati utili a conoscere e gestire le situazioni di carenza.
«Da sempre le forme tradizionali di agricoltura hanno governato il delicato equilibrio della falda, utilizzandone le acque per l’irrigazione, ad esempio attraverso i fontanili, ma anche preoccupandosi di restituirle attraverso l’irrigazione a scorrimento, le risaie e i prati allagati – ricorda Lorenzo Baio, responsabile settore Acqua di Legambiente Lombardia –. Oggi vediamo i canali tenuti in asciutta per l’intero inverno, quando invece sarebbe possibile riversarvi una parte delle acque che, diversamente, raggiungono troppo rapidamente il mare, mentre per le risaie si fa sempre più ricorso a tecniche di coltivazione in asciutta e le marcite sarebbero già scomparse dal paesaggio agricolo, non fosse stato per le attività e i progetti di sostegno attivati nei parchi regionali per mantenere viva quella che oggi si scopre essere sempre di più una infrastruttura agricola fondamentale per l’equilibrio della falda».
Nei parchi regionali dell’Adda, Agricolo Sud Milano, e soprattutto del Ticino sono in corso da anni progetti per la conservazione di questi particolari prati allagati con tecniche adatte alla produzione di fieno invernale. Il progetto Aretè, in corso nei parchi del Ticino Piemontese e Lombardo con il sostegno di Fondazione Cariplo, si sta ad esempio occupando non solo di affiancare gli agricoltori nella conduzione delle marcite, ma anche di quantificare i servizi che questo agroecosistema produce, per il rifornimento della falda e il mantenimento della biodiversità nelle aree agricole.
La discussione sulle misure da attuare per affrontare la siccità difficilmente fa i conti con la complessità del ciclo dell’acqua nel sistema della pianura irrigua: quelli che altrove possono apparire sprechi d’acqua, come l’irrigazione a scorrimento, le risaie allagate e la circolazione invernale nei canali, sono invece, a certe condizioni, modalità per rallentare il deflusso delle acque verso il mare, mantenendo imbevuti i terreni e assicurando la restituzione di acqua in falda. Ma oltre a questi fondamentali accorgimenti, molte sono le azioni che possono permettere di migliorare la ‘resilienza’ del sistema irriguo, il più esposto agli effetti della siccità: dalla gestione coordinata dei bacini di monte, inclusa la ‘diplomazia dell’acqua’ nei rapporti con i territori elvetici del bacino del Po, all’estensione del riutilizzo irriguo delle acque di scarico, al miglioramento dei suoli e dei paesaggi agricoli per limitarvi le perdite d’acqua dovute a evaporazione o infiltrazione profonda, alla pianificazione e riduzione degli emungimenti da pozzo, al ripristino della permeabilità dei suoli urbani, con il ricorso ai sistemi di drenaggio sostenibile, che alimentano le falde, anziché aumentare il rischio idrogeologico.