I risultati della ricerca sull’inquinamento da fonte agricola in Pianura Padana pubblicati sulla rivista scientifica «Frontiers in Environmental Sciences»
Legambiente: “Coinvolgere pienamente l’agricoltura nella transizione ecologica della nostra economia, abbiamo accumulato troppi ritardi”
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È l’ammoniaca, il gas rilasciato da liquami zootecnici e campi troppo intensamente fertilizzati con urea e letami, la responsabile della formazione di particolato secondario (PM10) sotto forma di sali solidi, in particolare solfati e nitrati d’ammonio.
Nelle polveri che siamo costretti a respirare a Milano e nelle altre città della Lombardia dunque non ci sono solo fuliggini da combustione e polveri da freni e pneumatici, ma anche – e in misura sempre maggiore – microscopici cristalli di sali ammoniacali, il più importante dei quali è il nitrato di ammonio che deriva dalla combinazione di due sostanze tossiche, l’ammoniaca e gli ossidi d’azoto (NOx) che vengono liberati, in particolare, dai motori diesel. Un particolato solido che si forma solo nei mesi freddi, e questo, insieme ai fenomeni meteorologici di ristagno dell’aria nella conca padana, spiega il fatto che in estate i livelli di polveri sottili nell’aria sono mediamente molto più bassi e generalmente meno preoccupanti (vedi figura tratta dall’articolo originale).
“L’inquinamento dell’aria in Pianura Padana è esito di una fortissima concentrazione di fonti emissive entro uno spazio geografico circoscritto, e tra queste quella legata agli allevamenti intensive non è affatto secondaria,” afferma Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia e co-autore della ricerca. “Molto è stato fatto per ridurre le emissioni di diversi settori produttivi, mentre gli sforzi restano insufficienti nel settore zootecnico, con l’aggravante, soprattutto per la Lombardia, di una intensità di allevamento che si colloca ai vertici europei, nel confronto con tutte le altre regioni. Il dato per la Lombardia attesta che, nell’arco dell’ultimo ventennio, le emissioni di ammoniaca di fonte agricola si sono ridotte solo del 7%, mentre quelle di altri inquinanti generati da tutti i settori si sono pressoché dimezzate. È chiaro che non c’è speranza di vedere un sostanziale miglioramento della qualità dell’aria senza una ristrutturazione degli ordinamenti produttivi dell’agricoltura padana, che oltre alle misure di mitigazione includa la riduzione del numero di animali allevati”.
Legambiente ha collaborato al progetto di ricerca INHALE, sviluppato dai ricercatori del CMCC (Centro euroMediterraneo sul Cambiamento Climatico) sull’impatto dell’agricoltura sull’inquinamento atmosferico, una collaborazione che si inscrive nell’esigenza di consolidare la conoscenza di questa fonte emissiva, e allo stesso tempo di sviluppare consapevolezza nei decisori, affinché vengano attivate le necessarie politiche di riduzione delle emissioni anche in questo settore.
“Occorre che l’agricoltura venga pienamente coinvolta nella transizione ecologica della nostra economia,” dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. “Quella che oggi può apparire una difficile sfida, per la qualità dell’aria e la salute dei cittadini, deve invece diventare una azione vincente per la qualificazione della filiera agroalimentare del Nord Italia”