Mentre la Orobica Cicli chiude i cancelli, la Carbon-Ti vola al Giro d’Italia: una analisi in termini di mobilità sostenibile
Federico Del Prete*
Le oltre seicento aziende produttrici di biciclette e componenti della Lombardia, prima regione italiana per numero di imprese nel comparto, sono spesso realtà di eccellenza mondiale, anche quando non sono marchi noti al grande pubblico.
Due notizie in pochi giorni sembrano però mostrare il proverbiale rovescio della medaglia: mentre la Carbon-Ti di Cazzago S. Martino (BS) vola al Giro d’Italia con una fornitura esclusiva per una squadra prestigiosa, la Orobica Cicli di Endine Gaiano (BG), ultimamente troppo dipendente dagli ordinativi di un gigante della GDO, ha chiuso i cancelli lasciando a casa i suoi cinquantuno dipendenti.
Quando non lavorano per le grandi squadre, i quindici dipendenti di Carbon-Ti producono componenti all’avanguardia della tecnologia, in grado di mantenere altissime prestazioni con pesi molto bassi, al punto da doversi difendere dalle imitazioni fraudolente – nonché pericolose. È ciò che cercano i campioni, ma anche i dilettanti dalla elevata capacità di spesa, disposti ad acquistare singoli componenti che costano quanto una bicicletta intera.
La Orobica Cicli, azienda con oltre quaranta anni di attività (1962) ma relegata al ruolo di assemblatore terzista, era da tempo sotto osservazione dei sindacati per dipendere in modo eccessivo da un solo committente della grande distribuzione, molto aggressivo nel comparto. Com’era prevedibile, l’azienda ha da poco chiuso i battenti, e c’è solo da sperare che sia rilevata da un nuovo investitore, che si sarebbe già fatto avanti.
La vicenda di Orobica Cicli sembra essere un monito per tutte le aziende che fanno fatica a innovare, adottando nuove tecnologie per prodotti innovativi e sviluppando strategie di marketing aggiornate, ad esempio per vendere negli ecosistemi digitali. Ma è solo questo? Non dimentichiamo che al di là della politica industriale, quando si parla di biciclette si parla anche di transizione energetica e di mobilità sostenibile, temi che vanno affrontati e risolti in sede governativa.
In termini di sostenibilità è più significativo un singolo componente che costa come una bicicletta o viceversa? La risposta è nelle politiche nazionali a favore della mobilità ciclistica, come ad esempio, per ciò che riguarda l’Italia, la mancanza di incentivi all’acquisto di biciclette per l’uso quotidiano oltre che per accessori e servizi, da offrire ai cittadini in modo strutturato e ricorrente, come accade per altri veicoli.
La bicicletta (fatturato Italia: € 3+ Mld/anno; in EU € 500+ Mld. di benefici economici/anno, con oltre 600K addetti) può diventare una gallina dalle uova d’oro, se ci fosse qualcuno disposto a covarla, vale a dire aprendo definitivamente la strada a una mobilità ciclistica diffusa. Come, ad esempio, accade in altri paesi europei per intervento dei governi nazionali, sia in termini infrastrutturali sia per ciò che riguarda gli incentivi all’acquisto. Così come in sede europea, considerando la EU Cycling Strategy (2017) e la recentissima European Declaration on Cycling, vero e proprio manifesto politico ed economico per una ciclabilità diffusa.
Difficile dire se un diverso atteggiamento del governo italiano nei confronti della ciclabilità avrebbe spinto Orobica Cicli a innovare, restando sul mercato, e convinto Carbon-Ti a diversificare i suoi componenti esclusivi anche per il segmento urban, crescendo ulteriormente. Una cosa è certa: in questo modo non diamo prospettive né a un settore che ci vede al terzo posto in Europa dopo Germania e Paesi Bassi, né a ridurre le emissioni inquinanti e climalteranti. Da che parte sta l’Italia?
*Responsabile Mobilità e Spazio Pubblico, Legambiente Lombardia