Dal settore agro-zootecnico quasi metà delle emissioni nazionali climalteranti e inquinanti causate dal metano
Hot spot nell’inquinata Pianura Padana: tra biometano-fatto-bene e transizione agroecologica, quali strategie per ridurre le emissioni

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Il metano ci dà una mano? Sì, se non lo emettiamo. Questo gas è infatti molto meno ‘pulito’ di quanto il settore Oil&Gas voglia far credere. Non solo perché è un potente gas serra, con un potenziale di riscaldamento atmosferico molto maggiore, ben 84 volte più alto, della famigerata CO2, ma anche perché è sempre più chiaro che la continua crescita delle concentrazioni di metano è, insieme alle emissioni da traffico stradale, la causa maggiore del temibile ‘smog fotochimico’ che si forma per azione dei raggi solari sulle sostanze chimiche presenti in atmosfera: dunque il metano è allo stesso tempo un gas climalterante e un inquinante. La nocività dello smog fotochimico, che nelle estati mediterranee colpisce sia i polmoni umani che i tessuti vegetali di alberi e piante coltivate, è legata all’ozono, gas che si sviluppa dalla reazione tra ossigeno e inquinanti organici gassosi, di cui il metano è di gran lunga il più abbondante tra quelli presenti in atmosfera1.
Ciò è quindi dovuto sia al ‘fondo’ della concentrazione di metano in atmosfera, in continua crescita per l’aumento delle emissioni globali, sia alle emissioni locali, in Pianura Padana particolarmente elevate rispetto al dato nazionale, soprattutto a causa della forte concentrazione di allevamenti bovini, tenendo conto del fatto che 2/3 dei bovini italiani vivono nelle stalle di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto.
Globalmente, le concentrazioni di metano sono quasi triplicate rispetto a quelle dell’età preindustriale: un aumento molto maggiore di quello misurato per la CO2. L’accordo globale sulla riduzione delle emissioni di metano (Global Methane Pledge), già siglato da 159 Paesi, ha messo nero su bianco l’impegno a limitare le emissioni di questo gas. Per l’Italia, i risultati finora sono scarsi, e per lo più riferibili al settore energetico e industriale, dove si concentrano gli investimenti per ridurre le perdite di questo gas, e a quello dei rifiuti, in cui si è già fortemente ridotto il conferimento a discarica di rifiuti organici.
Nel settore agricolo, prima fonte di emissioni, il dato è invece rimasto fermo da venti anni a questa parte. In questo caso parliamo soprattutto di metano prodotto negli allevamenti bovini, e il dato si spiega con il numero di animali allevati che, dopo una riduzione avvenuta per la riforma della PAC nei primi anni 2000, è poi rimasto sostanzialmente invariato.
La riduzione delle emissioni di metano nel settore agricolo nazionale è l’oggetto di un workshop promosso oggi da Legambiente a Milano, che ha chiamato a raccolta esperti per fare il punto sui diversi approcci utili a raggiungere gli obiettivi fissati a livello internazionale.
“L’obiettivo di ridurre le emissioni di metano richiede un aumento della sostenibilità del sistema agricolo nel nostro Paese,” spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. “L’innovazione riguarda prioritariamente il settore degli allevamenti, in particolare nelle regioni in cui questa attività è più intensiva per numero di capi in rapporto al territorio.”
Le emissioni di metano degli allevamenti derivano da due fonti: la principale è legata alla attività digestiva dei ruminanti, e quindi in particolare dei bovini, da latte e da carne. Il rumine è infatti un organo specializzato per consentire a questi erbivori di digerire le fibre vegetali, grazie all’attività di microrganismi in esso contenuti: per ridurre le emissioni di metano è possibile ottimizzarne la razione o introdurre specifici additivi nei foraggi, ma non si può prescindere dalla fisiologia di questi animali.
L’altra fonte di metano è costituita dai liquami zootecnici, senza distinzione di specie allevata. Per questa fonte i margini di intervento sono maggiori, potendo migliorare la gestione dei liquami per limitarne la fermentazione, ovvero destinarli alla produzione di biogas e biometano: in questo caso i liquami di allevamento, uniti ad altri scarti agroalimentari, vengono avviati ad un reattore biologico in cui il metano prodotto, anziché disperdersi in atmosfera, viene intercettato e utilizzato come fonte energetica, ovvero raffinato e immesso nella rete gas.
“La produzione di biometano e il suo utilizzo come fonte energetica alternativa al metano fossile è sicuramente il modo migliore per ridurre le emissioni degli allevamenti,” continua Di Simine, “ma deve essere ‘fatta bene’. Tra i requisiti di un trattamento efficace vi è il rigoroso controllo delle perdite e delle emissioni cosiddette fuggitive: considerato il forte potere climalterante del metano, anche piccole perdite di gas possono vanificare l’efficacia di questo processo.”
Oltre ad applicare ‘retrofit’ agli allevamenti, c’è una terza via, non necessariamente in conflitto con le prime due: si tratta della transizione agroecologica, volta a ripristinare l’equilibrio tra allevamenti e territorio, stravolto da decenni di pratiche sempre più intensive e dalla massiccia importazione di mangimi, che permette di mantenere un numero di animali allevati molto più alto di quanto consentito dall’estensione delle terre coltivate a foraggere.
“Ridurre l’intensità di allevamento, adottando approcci più ecologici nel rapporto con il territorio e le colture, è una necessità per l’agricoltura della Pianura Padana, e può essere fatto tutelando il reddito degli agricoltori se, insieme a un legame più solido con le produzioni di foraggi del territorio, si punta a valorizzare la sostenibilità di queste produzioni. Occorre un coinvolgimento di tutta la filiera, inclusi i consumatori, chiamati a ridurre i loro consumi di prodotti di origine animale, ma allo stesso tempo ad essere più esigenti, sia sul benessere degli animali allevati, sia sulla salubrità e sostenibilità dei prodotti del Made in Italy agroalimentare,” conclude Di Simine.
1) Lo ‘smog fotochimico’ colpisce in modo particolare il Nord Italia, area che da sola è responsabile di circa metà delle emissioni nazionali di metano (https://www.legambientelombardia.it/wp-content/uploads/2025/02/Policy-brief-Emissioni-agricole-Pianura-Padana-Methane-Matters_Legambiente-Lombardia-CON-LOGO.pdf)
Secondo il recente report pubblicato dall’EEA-Agenzia Europea dell’Ambiente (https://www.eea.europa.eu/en/analysis/publications/methane-climate-change-and-air-quality-in-europe-exploring-the-connections) il metano è responsabile del 37% dei livelli di ozono misurati in Europa. A causa della tossicità dell’ozono per i vegetali, esso ha causato, nel solo 2022, danni alle colture per 2 miliardi di euro di mancati raccolti.


MetaNO è il progetto di Legambiente per far luce sulle emissioni di metano generate dal settore agricolo, al fine di una loro riduzione coerente con gli obiettivi a cui l’Italia ha aderito siglando il Global Methane Pledge, a margine della COP 26 tenutasi a Glasgow nel 2021: l’accordo impegna le parti a conseguire una riduzione delle emissioni di metano del 30% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2020. Considerato che il metano, da solo, è responsabile di oltre un terzo del riscaldamento climatico misurato, si tratta di una sfida prioritaria per mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C. La riduzione delle emissioni di metano è importante per le caratteristiche di questo gas, che ha una ‘vita’ in atmosfera di pochi decenni. Questo significa che una riduzione di emissioni può determinare effetti benefici, in termini di riduzione del riscaldamento climatico, in un arco di tempo molto più breve rispetto a quelle della CO2, le cui aumentate concentrazioni in atmosfera è previsto restino tali per secoli.
Intorno alla sfida del Global Methane Pledge si sta aggregando una crescente attenzione da parte della società civile europea, che si è organizzata in una coalizione (Methane Matters Coalition, www.methanematters.eu) e in una campagna di comunicazione europea, Time for CH4ange, presentata nei giorni scorsi a Bruxelles