di Rebecca Forte*
In un suo documento del 2012, la Commissione Europea ha definito l’impermeabilizzazione come una delle principali cause di degrado del suolo in Europa. Un suolo impermeabile, ad esempio perché in generale cementificato, “comporta un rischio accresciuto di inondazioni e di scarsità idrica, contribuisce al riscaldamento globale, minaccia la biodiversità e suscita particolare preoccupazione allorché vengono ad essere ricoperti terreni agricoli fertili”.
Questa dinamica, evidenziata anche nel rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici (ISPRA 2022), rappresenta la componente principale e più impattante del consumo di suolo. Un effetto rilevante associato alla cementificazione è il fenomeno urbano delle isole di calore, aree nelle quali la copertura del suolo è esposta al sole diretto con conseguenti maggiori temperature rispetto, ad esempio, alle aree verdi.
La differenza di temperatura tra superfici coperte da cemento, asfalto e altri materiali impermeabilizzanti e dove il suolo è invece coperto da vegetazione può raggiungere e superare i 2°C, ed è influenzata anche dalla proporzione tra spazi verdi e aree cementificate.
La presenza di corsi e specchi d’acqua migliora la situazione, ma anche un semplice prato è una riserva di benessere. L’acqua che si trova sullo strato superficiale delle piante e del terreno evapora, rilasciando l’umidità contenuta. La presenza dilagante di materiali come cemento e asfalto assorbe invece più calore rispetto ad un volume equivalente di terreno o di aria. Ciò significa che un denso isolato urbano rappresenta una ‘spugna’ che assorbe calore e radiazioni solari per poi rilasciarli. Anche per tale ragione, in città l’escursione termica tra giorno e notte è inferiore rispetto alle zone di campagna.
Il soil sealing (sigillare i suoli), ovvero l’impermeabilizzazione di suoli che letteralmente non respirano, è un problema ormai globale. In Italia la copertura causata da cemento, asfalto, edifici e altre costruzioni aumenta di circa sedici ettari al giorno. Se non si interviene in modo definitivo recuperando gli spazi verdi, le temperature continueranno a salire, rendendo di fatto inabitabili le città.
Il rapporto tra superfici permeabili e impermeabili è sicuramente l’elemento centrale del problema, ma nell’innalzamento delle temperature ha un ruolo notevole anche l’altezza degli edifici, soprattutto se troppo ravvicinati: è il fenomeno dei canyon urbani. Le strade strette tra edifici ostacolano la circolazione dell’aria, formando una sorta di recinto che riduce la capacità delle correnti ascensionali di portare il calore verso l’alto e, quindi, di disperderlo.
A questi fattori si aggiunge poi il rilascio delle sostanze inquinanti da parte di impianti industriali e per il riscaldamento e il condizionamento dell’aria, oltre al traffico veicolare: qualsiasi strumento che produca calore è inevitabilmente destinato ad innalzare la temperatura in città. Le isole di calore sono quindi l’insieme dei fenomeni che produce un microclima più caldo rispetto alle zone periferiche e rurali.
Gli interventi per limitare questo problema possono variare, ma ruotano attorno all’allargamento delle aree verdi in città, ottenuto anche de-pavimentando superfici attualmente sigillate da asfalto. L’espansione delle aree verdi permette non solo di abbassare la temperatura in città e di ridurre gli effetti delle inondazioni, ma anche di assorbire CO2 e polveri sottili, limitando quindi gli effetti della crisi climatica e riducendo gli inquinanti. È qualcosa di indispensabile, dobbiamo chiederlo con forza agli amministratori!
*Architetto e Urbanista, Project assistant, Ufficio Progetti, Legambiente Lombardia