Le osservazioni depositate da Legambiente sottolineano che il comune del Parco Sud ipoteca oltre 80.000 mq di suolo agricolo per l’elaborazione dei dati, con significativi impatti su clima e biodiversità
Legambiente: “Servono strategie positive per la reindustrializzazione delle aree dismesse: nell’era della crisi climatica i nuovi capannoni di data center e insediamenti logistici sono parte del problema, ma possono diventare parte della soluzione.”
Le aziende che offrono servizi di data storage – in sostanza, grandi installazioni per collocare e gestire le infrastrutture informatiche a servizio dei loro clienti – sono sempre più aggressive nei confronti dei suoli agricoli, che i piccoli comuni concedono a fronte di compensazioni economiche variamente formulate ma generalmente allettanti.
I data center, in particolare nell’area milanese, con la crescita esponenziale del cloud computing, reclamano superfici sempre più estese, anche per effetto delle normative europee sulla conservazione dei dati, arrivando ormai a contendere al settore della logistica il primato per quanto riguarda le dimensioni dei nuovi capannoni.
L’ennesimo esempio è quello di Vignate (MI), dove una SRL riconducibile alla multinazionale Stack ha depositato istanza di piano attuativo per un data center da collocare su oltre ottantamila metri quadrati attualmente soggetti ad uso agricolo. L’area è di particolare vulnerabilità ecologica, adiacente com’è al perimetro del Parco Regionale Agricolo Sud Milano e a formazioni boschive individuate dal Piano di Indirizzo Forestale di Città Metropolitana, sebbene il comune già da tempo vi abbia individuato, all’interno del proprio strumento urbanistico, una destinazione a insediamenti produttivi.
Si tratta di previsioni urbanistiche che risalgono agli ultimi decenni del secolo scorso, alla stagione delle grandi aggressioni al territorio lombardo e della crescita esponenziale del consumo di suolo. Una crescita che però evidentemente non è ancora finita: infatti, l’amministrazione del Comune di Vignate in tutti questi anni non ha ritenuto di attivarsi per recedere da una previsione urbanistica che comporta una drastica riduzione del proprio territorio agricolo.
“Il fabbisogno di superfici per la realizzazione di data center potrebbe trovare risposta nel recupero di aree dismesse, evitando così il consumo di suoli liberi” segnala Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. “Purtroppo però le aziende premono sulle amministrazioni per sviluppare i loro progetti su terreni agricoli, dove ancora oggi, nonostante la legge regionale 31 del 2014, continua ad essere più facile aprire nuovi cantieri: così la Lombardia continua ad ospitare siti ex-industriali che restano abbandonati e spesso pericolosi, mentre proliferano nuovi capannoni nel mezzo delle campagne, con l’inerzia o, più spesso, la complicità delle amministrazioni locali”
I data center non consumano solo suoli: essi sono anche dei grandi consumatori di energia, alimentando così la domanda di combustibili fossili e la minaccia per il clima. Anche in questo caso una maggiore attenzione alle prestazioni ambientali di queste attività potrebbe invece facilmente produrre opportunità per aumentare la produzione da fonti rinnovabili oltre che per ridurre i consumi energetici.
“Occorre ripensare alle priorità con un occhio al futuro, rendendo questi impianti neutrali dal punto di vista delle emissioni climalteranti, recuperando invece che disperdendo il molto calore prodotto e sfruttando le vaste superfici occupate per collocare impianti da fonti rinnovabili, possibilmente inseriti in Comunità Energetiche, in un’ottica di mutuo vantaggio per lo imprese e per le comunità locali: anche le amministrazioni, nell’interlocuzione con le imprese, devono avere ben presente la centralità della sfida per l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni,” conclude Barbara Meggetto.